Nella riflessione giuridica sulla imperfezione degli atti nel processo penale, lattenzione degli interpreti si è concentrata, con prevalenza, sul binomio validità-invalidità, senza particolare approfondimento delle fattispecie in cui il legislatore commina linefficacia di un atto, pur a fronte della sua eventuale validità strutturale.
Il sistema tradizionale rimanda ai risultati di una elaborazione dottrinale che ha tracciato le categorie delle invalidità degli atti processuali, entro le quali si è mossa la maggior parte degli studiosi del processo penale, peraltro confermato da un legislatore che sembra interessato ai vizi degli atti, mai dei comportamenti.
Con improprie sovrapposizioni, si continua ad affermare che la mancata produzione degli effetti, in caso di imperfezione, non costituirebbe la sanzione per la violazione di una condotta processuale, bensì la semplice conseguenza dell intrapreso ma non completato assolvimento di un onere: linvalidità, cioè, non sanzionerebbe latto, ma coinciderebbe con la constatazione che quellatto non è conforme alla fattispecie voluta dallagente. E, per questa via, talvolta si giunge a negare tanto lautonomia sanzionatoria dellinefficacia intesa in senso stretto, quanto la sua natura di sanzione processuale, non appartenendo alle categorie di invalidità degli atti.
In ciò si coglie il disagio intellettuale di utilizzare il termine sanzione, poiché manifesterebbe una situazione punitiva non realizzabile nellordinamento processuale, ed il vizio, ove non rilevato, non impedisce alla sentenza di raggiungere la caratterizzante irrevocabilità del giudicato.