Le impugnazioni sono sempre state - e sono divenute ancor più dopo le recenti riforme e con l'affermarsi di orientamenti giurisprudenziali formalistici in proporzione geometricamente crescente - «croce e delizia» per chi operi nel campo del contenzioso civile, amministrativo, tributario e contabile. Mille e mille questioni sorgono e vengono dibattute nel foro, conducendo a frequenti pronunce di inammissibilità, di improcedibilità e di estinzione, che sbarrano la strada a ogni possibile rivisitazione del giudizio di merito, sempre più spesso inattingibile. Se a ciò si aggiungono la frequente insufficienza dell'istruttoria svolta in prime cure - salvo demandarla integralmente (ex ante) e adesivamente (ex post) a «onnivore» consulenze tecniche d'ufficio - la sommarietà della cognizione e il diffuso utilizzo di fictiones iuris, divenute ormai regola nei civili litigi, a onta del rito ordinario, semplificato o speciale, si ha il quadro di un sistema giudiziario che persegue affannosamente il far presto rispetto al far bene, per tener dietro a classifiche internazionali Doing business, unicamente all'insegna di un'utilitaristica efficienza econometrica e «giurimetrica», alla cui stregua «le impugnazioni sono un lusso che non ci possiamo permettere».