«Cera una volta...», così cominciavano le favole che ci leggevano da bambini. «Cera una volta la giustizia penale, per lappunto una favola nel vuoto giudiziario del Paese. Un vuoto dove germoglia una perversa contraddizione, se è vero che al crimine, attraverso lincertezza della pena, viene offerta su un vassoio la prospettiva della possibile impunità, mentre per chi non fosse colpevole è già una pena il calvario di un processo dai tempi metafisici». «La giustizia in Italia è un impraticabile bisticcio di elementi dinquisitorio e accusatorio. Donde processi interminabili, scarcerazioni di pluriomicidi per decorrenza termini, prescrizioni di reati come regola, che ora vuole ampliarsi, impunità diffusa, vittime del reato abbandonate al proprio destino, e per altro verso arresti spesso inutili, calvario di attese per lo sventurato che senza colpe entri nel circuito penale come destinatario del cosiddetto «atto dovuto», e così via in un caos indescrivibile, prossimo allanarchia». «Il nostro codice di procedura penale è nato storpio, perché copiato e per giunta male da un contesto storico-culturale, quello anglosassone, molto diverso dal nostro, e piuttosto che essere modificato nelle fondamenta viene continuamente rattoppato sotto le suggestioni del momento, fino a divenire impraticabile». «Napoli, con il suo contorno geografico, sì e auto-instaurata come «territorio autonomo» attraverso una propria Costituzione materiale fondata sul generale consenso dei suoi cittadini al quotidiano dissenso dalle regole; e non importa se non sono tutti cosi, la realtà oggettiva è questa». Lautore si augura che ulteriori ritardi non rendano fatale il crollo della giustizia.